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La redazione

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Non sarà un pranzo di gala

da acoltare, leggere e meditare

Contro le sinistre “codiste”

Il tempo cupo della sinistra “codista”
 
Stralci dell’intervento di Emiliano Brancaccio alla conferenza GUE/NGL tenuta a Napoli il 25 settembre 2018.
 
Pochi mesi fa alcuni giornalisti molto noti in Italia, che potremmo definire “liberali”, hanno partecipato a una serie di dibattiti con il leader di CasaPound, tra l’altro tenuti proprio nelle sedi dell’organizzazione neofascista. Enrico Mentana è la più nota delle illustri firme del giornalismo italiano che hanno partecipato a quei dibattiti.
Le motivazioni di Mentana e degli altri giornalisti liberali si possono riassumere nella celebre massima attribuita a Voltaire, peraltro apocrifa: “non condivido nulla di ciò che dici ma sono disposto a morire purché tu possa dirlo”.
Ebbene, non saprei dire esattamente il perché, ma da qualche giorno la mia mente viene continuamente catturata da un’immagine: quella del militante fascista tipo che ascolta con attenzione e deferenza questa massima, mentre lucida la sua spranga in attesa di qualche nuova testa da spaccare.
***
Naturalmente Mentana non è l’unico responsabile di una sottovalutazione del potenziale di sviluppo della violenza fascista.
La minimizzazione della minaccia nera, talvolta persino le connivenze con essa, sono aspetti tipici del rapporto controverso che molti liberali hanno storicamente intrattenuto con i fascisti.
Persino Benedetto Croce, il più celebre filosofo liberale italiano e critico del fascismo, commise in fin dei conti un errore di sottovalutazione: egli concepì il fascismo come una banale “ubriacatura”, un accidente pressoché casuale, una fugace “parentesi” causata dalla guerra. Altri studiosi, di orientamento analogo, hanno aggiunto che il fascismo è stato una mera reazione alla minaccia comunista e che in assenza di questa non possa mai riaffiorare.
Gli odierni liberali la pensano più o meno in questi modi, direi tutti piuttosto rassicuranti. A loro avviso, ieri il fascismo fu una parentesi accidentale e oggi non costituisce una reale minaccia.
***
Io però seguo una diversa storiografia. A mio avviso, pur in forme continuamente rinnovate, il fascismo è un virus interno alla meccanica stessa del capitale, che si alimenta delle contraddizioni innescate dalle crisi capitalistiche.
Sebbene in forma blanda e mimetizzata, oggi il virus fascista è di nuovo attivo, la sua influenza sulle azioni di alcuni governi è già un dato di fatto.
Ovviamente non stiamo ancora parlando di un fascismo che si fa regime. Ma se qualcuno azzardasse che già ora stiamo rischiando un’egemonia culturale di stampo neofascista, ebbene io non lo troverei assurdo.
Per adesso, nelle arene politiche circolano solo emulazioni grottesche e persino un po’ ridicole, ma forme surrettizie di fascismo stanno realmente fiorendo e sembrano destinate a guadagnare forza ad ogni successiva crisi economica.
Si cita spesso il “18 Brumaio”, dove Marx sosteneva che la Storia tende a presentarsi prima come tragedia e poi come farsa. Io aggiungerei che a volte la sequenza si rovescia: prima la farsa, poi la tragedia.
Se vogliamo evitare di passare dall’odierna farsa a una futura tragedia, allora faremo bene a considerare la militanza antifascista un discrimine fondamentale per la politica del nostro tempo.
***
Qui però occorre fare una precisazione. Militanza antifascista significa innanzitutto comprensione delle cause materiali del fascismo.
A questo riguardo, la tesi che cerco di sostenere da tempo è che i liberali non sono semplicemente colpevoli di minimizzare il fenomeno fascista. I liberali, con le loro politiche economiche di “laissez faire”, sono la causa principale del revival fascista del nostro tempo.
L’anno scorso, intervistato dall’Espresso, sostenni che al secondo turno delle elezioni presidenziali francesi non avrei votato nessuno: cioè, non avrei votato Macron per cercare di contrastare l’avanzata della Le Pen. Dichiarai che se fossi stato francese non avrei votato il delfino del più retrivo “laissez faire” finanziario per tentare di bloccare l’ascesa della signora fascista all’Eliseo.
Quella intervista fece discutere. Venni criticato da molti esponenti della sinistra, anche della cosiddetta sinistra radicale. Alcuni sostennero che il Brancaccio astensionista aveva torto, mentre il Varoufakis che appoggiava Macron aveva ragione.
Ebbene, oggi decisamente confermo la mia posizione di allora. Questo non solo perché Macron ha rivelato una chiara istanza di emulazione della destra reazionaria in molte materie: dagli immigrati, alla sicurezza, alla gestione del conflitto sociale, a una lettura nazionalista dello scontro in Europa. Ma più in generale, io confermo quella mia scelta perché votare il cosiddetto “meno peggio” è oggi più che mai sbagliato: il “meno peggio” di oggi rappresenta la causa scatenante del “peggio” di domani.
La cultura di stampo neofascista, reazionaria e violenta, nemica delle libertà civili e nemica della classe lavoratrice, questa cultura nera non sta riaffiorando per caso.
Le ricerche del National Bureau of Economic Research e di altre importanti istituzioni evidenziano che il seme del fascismo fiorisce a seguito di  feroci politiche di deregolamentazione dei mercati: politiche deflazioniste e di austerity, politiche di liberalizzazione dei mercati finanziari, politiche propagatrici di crisi e sperequazioni. Politiche che alimentano la peggiore reazione oscurantista.
Qualche giorno fa ho rilasciato un’intervista al Venerdì di Repubblica, rivista glamour e liberale per eccellenza. In quella intervista cerco di spiegare una cosa che reputo cruciale: oggi bisognerebbe hegelianamente comprendere che la bruta reazione sovranista e fascistoide di questi tempi è la figlia indesiderata del liberismo globalista degli anni passati.
Il fascismo, cioè, come eterogenesi dei fini del liberalismo.
Se comprendiamo questa fondamentale relazione di causa ed effetto, capiremo anche perché gli appelli di Massimo Cacciari e di altri, molto propagandati dalla stampa liberale di sinistra, appelli per organizzare per le prossime elezioni europee un grande accrocco antifascista, che vada da Macron fino a Tsipras, questi appelli rappresentano un assurdo della logica politica.
Sono appelli sbagliati, perché l’antifascismo liberista e deflazionista di Macron e dei suoi epigoni è un ossimoro, è una contraddizione in termini. E’ un’ipocrisia politica ed è un fallimento annunciato.
Se vogliamo fare i conti con l’onda nera di stampo neofascista che affiora all’orizzonte, allora dobbiamo prima logicamente fare i conti con il liberalismo che ha alimentato quell’onda funesta.
Questo è un punto importante, perché la tentazione di accodarsi ancora una volta ai liberali è forte e diffusa. Ed è sbagliata.
***
Ma c’è anche un’altra tentazione di accodarsi, persino più perniciosa.
E’ la tentazione, che si diffonde anche tra le file della cosiddetta sinistra radicale, di scimmiottare maldestramente le destre sovraniste e reazionarie nei loro più neri propositi.
Io sono al tempo stesso politicamente inorridito e scientificamente affascinato dalla mostruosa trasformazione, degna del Dottor Jekyll di Robert Louis Stevenson, che alcuni ex compagni hanno subito in questi anni.
Ex compagni che oggi prendono gli immigrati come capro espiatorio di ogni male economico e che prendono le distanze da fondamentali battaglie per i diritti: come quelle per l’uguaglianza di genere, per la libertà e l’emancipazione sessuale e contro ogni discriminazione, le battaglie per l’aborto, per la critica della superstizione, per una cultura laica e progressista nelle scuole.
Lo dico con chiarezza anche agli esponenti della Linke, di France Insoumise e ai nostrani più o meno disorientati: cedere di un solo millimetro, compiere un solo passo verso le agende politiche delle destre reazionarie, significa rinnegare in un colpo solo una grande storia.
Una storia che parte dall’illuminismo, che passa per le grandi rivoluzioni rosse, che attraversa il secolo con l’ecologismo, con il femminismo, con la critica della famiglia borghese. E’ la storia di chi interpreta e agisce nel mondo sulle basi scientifiche del materialismo storico e della lotta di classe.
Questa storia eccezionale è la ragione di fondo per cui, sia pure in questo tempo così cupo, si può tuttora scommettere razionalmente su un futuro di progresso civile e di emancipazione sociale.
Gettare al macero questa storia straordinaria per portare avanti una strategia “codista” al traino delle peggiori destre reazionarie, è l’idea politica più imbecille e perdente che mi sia toccato di commentare in tutta la mia vita. Mi auguro che questa idea passi presto e non attecchisca.
***
Permettetemi un’ultima considerazione sulle proposte.
Elaborare un punto di vista autonomo e di classe, sia contro l’agenda delle destre liberali sia contro la propaganda delle destre reazionarie, è un’impresa colossale. E’ un’impresa che richiede un lavoro continuo sul durissimo terreno della conquista di credibilità nel campo della politica economica.
Conferire credibilità a una politica economica alternativa: l’egemonia passa inevitabilmente per questo difficile compito.
Perseguire l’obiettivo della credibilità significa avere piena coscienza della portata gigantesca dei problemi dinanzi ai quali ci troviamo.
Significa quindi di evitare scorciatoie inverosimili, come quella dell’autonomismo municipale in campo monetario, tanto per citare un esempio di cui si discute in questi giorni nella mia città.
Ma soprattutto, perseguire l’obiettivo della credibilità significa mettere ordine tra le cose. Significa ad esempio comprendere che la riduzione dell’orario di lavoro o il reddito di base, che sono citati nel titolo di questa sessione, sono obiettivi che possono essere realisticamente perseguiti in un’ottica di classe solo in un contesto di rottura dell’attuale regime di accumulazione del capitale basato sulla centralità del mercato finanziario. Un regime che trae forza dalla indiscriminata libertà di circolazione globale dei capitali, e che attraverso di essa diffonde crisi, iniquità, sprechi e inefficienze nel mondo.
L’edificazione di un futuro di progresso civile e di emancipazione sociale passa per una critica dell’illusione di efficienza e di equità dei mercati, a partire dai mercati finanziari.
Nella fase attuale, di caos e disorganizzazione, questo obiettivo può esser perseguito sviluppando un’opposizione alla proposta di rigido controllo dell’immigrazione delle destre reazionarie che si basi sulla proposta alternativa, razionale e progressista, del controllo dei movimenti globali dei capitali.
Ma a lungo andare un obiettivo di tale portata richiederà necessariamente una ripresa e una rielaborazione, in chiave moderna, del discorso sulla pianificazione. Sugli errori della pianificazione sovietica; sulle possibilità della pianificazione discusse persino dal Congresso degli Stati Uniti nel 1975, poco prima dell’avvento della disastrosa Reaganomics; e sul potenziale di sviluppo dei diritti di libertà nel contesto di rinnovati esperimenti di pianificazione democratica e socialista. Perché occorre superare l’idea ingenua del capitalismo come garanzia di libertà.
Potranno volerci molti anni e molto duro lavoro per rendere egemonici la critica dell’efficienza del mercato e il discorso sulla pianificazione. Ma sarà sempre meglio che perseverare nelle patetiche strategie “codiste” di questo tempo, delle combriccole che oggi si affannano a ricavarsi un piccolo ruolo servente tra i portatori d’acqua delle destre liberali o delle destre reazionarie
 
Pochi mesi fa alcuni giornalisti molto noti in Italia, che potremmo definire “liberali”, parteciparono a una serie di dibattiti con il leader di CasaPound, tenuti proprio nelle sedi dell’organizzazione neofascista. Enrico Mentana è la più nota delle illustri firme del giornalismo italiano che hanno preso parte a quelle iniziative.
Le motivazioni di Mentana e degli altri giornalisti liberali si possono riassumere nella celebre massima attribuita a Voltaire, peraltro apocrifa: “non condivido nulla di ciò che dici ma sono disposto a morire purché tu possa dirlo”.
Ebbene, non saprei esattamente spiegare il perché, ma da qualche giorno la mia mente viene continuamente catturata da un’immagine: quella del militante fascista tipo che ascolta con attenzione e deferenza questa massima, mentre lucida la sua spranga in attesa di qualche nuova testa da spaccare.
***
Naturalmente Mentana non è l’unico responsabile di una sottovalutazione del potenziale di sviluppo della violenza fascista.
La minimizzazione della minaccia nera, talvolta persino le connivenze con essa, sono aspetti tipici del rapporto controverso che molti liberali hanno storicamente intrattenuto con i fascisti.
Persino Benedetto Croce, il più celebre filosofo liberale italiano, commise in fin dei conti un errore di sottovalutazione: egli concepì il fascismo come una banale “ubriacatura”, un accidente pressoché casuale, una fugace “parentesi” causata dalla guerra. Altri studiosi, di orientamento analogo, hanno aggiunto che il fascismo è stato una mera reazione alla minaccia comunista e che in assenza di questa non potrà mai riaffiorare.
Gli odierni liberali la pensano più o meno in questi modi, direi tutti piuttosto rassicuranti. A loro avviso, ieri il fascismo fu una parentesi accidentale e oggi non costituisce una reale minaccia.
***
Io però seguo una diversa storiografia. A mio avviso, pur in forme continuamente rinnovate, il fascismo è un virus interno alla meccanica stessa del capitale, che si alimenta delle contraddizioni innescate dalle crisi capitalistiche.
Sebbene in forma blanda e mimetizzata, oggi il virus fascista è di nuovo attivo, la sua influenza sulle azioni di alcuni governi è già un dato di fatto.
Ovviamente non stiamo ancora parlando di un fascismo che si fa regime. Ma se qualcuno azzardasse che già ora stiamo rischiando un’egemonia culturale di stampo neofascista, ebbene io non lo troverei assurdo.
Per adesso, nelle arene politiche circolano solo emulazioni grottesche e persino un po’ ridicole, ma forme surrettizie di fascismo stanno realmente fiorendo e sembrano destinate a guadagnare forza ad ogni successiva crisi economica.
Si cita spesso il “18 Brumaio”, dove Marx sosteneva che la Storia tende a presentarsi prima come tragedia e poi come farsa. Io aggiungerei che a volte la sequenza si rovescia: prima la farsa, poi la tragedia.
Se vogliamo evitare di passare dall’odierna farsa a una futura tragedia, allora faremo bene a considerare la militanza antifascista un discrimine fondamentale per la politica del nostro tempo.
***
Qui però occorre fare una precisazione. Militanza antifascista significa innanzitutto comprensione delle cause materiali del fascismo.
A questo riguardo, la tesi che cerco di sostenere da tempo è che i liberali non sono semplicemente colpevoli di minimizzare il fenomeno fascista. I liberali, con le loro politiche economiche di “laissez faire”, sono la causa principale del revival fascista del nostro tempo.
L’anno scorso, intervistato dall’Espresso, sostenni che al secondo turno delle elezioni presidenziali francesi non avrei votato nessuno: cioè, non avrei votato Macron per cercare di contrastare l’avanzata della Le Pen. Dichiarai che se fossi stato francese non avrei votato il delfino del più retrivo “laissez faire” finanziario per tentare di bloccare l’ascesa della signora fascista all’Eliseo.
Quella intervista fece discutere. Venni criticato da molti esponenti della sinistra, anche della cosiddetta sinistra radicale. Alcuni sostennero che il Brancaccio astensionista aveva torto, mentre il Varoufakis che appoggiava Macron aveva ragione.
Ebbene, oggi decisamente confermo la mia posizione di allora. Questo non solo perché Macron ha rivelato una chiara istanza di emulazione delle destre reazionarie in molte materie: dagli immigrati, alla sicurezza, alla gestione del conflitto sociale, a una lettura nazionalista dello scontro in Europa. Ma più in generale, io confermo quella mia scelta perché votare il cosiddetto “meno peggio” è oggi più che mai sbagliato: il “meno peggio” di oggi rappresenta la causa scatenante del “peggio” di domani.
Il punto è che la cultura di stampo neofascista, reazionaria e violenta, nemica delle libertà civili e nemica della classe lavoratrice, questa cultura nera non sta riaffiorando per caso.
Le ricerche del National Bureau of Economic Research e di altre autorevoli istituzioni evidenziano che il seme del fascismo fiorisce a seguito di  feroci politiche di deregolamentazione dei mercati: politiche deflazioniste e di austerity, politiche di liberalizzazione dei mercati finanziari, politiche propagatrici di crisi e sperequazioni. Politiche che alimentano la peggiore reazione oscurantista.
Qualche giorno fa ho rilasciato un’intervista al Venerdì di Repubblica, rivista glamour e liberale per eccellenza. In quella intervista cerco di spiegare una cosa che reputo cruciale: oggi bisognerebbe hegelianamente comprendere che la bruta reazione sovranista e fascistoide di questi tempi è figlia indesiderata del liberismo globalista degli anni passati.
Il fascismo, cioè, come eterogenesi dei fini del liberalismo.
Se comprendiamo questa fondamentale relazione di causa ed effetto, capiremo anche perché gli appelli di Massimo Cacciari e di altri, molto propagandati dalla stampa liberale di sinistra, appelli per organizzare per le prossime elezioni europee un grosso accrocco antifascista, che vada da Macron fino a Tsipras, questi appelli rappresentano un assurdo della logica politica.
Sono appelli sbagliati, perché l’antifascismo liberista e deflazionista di Macron e dei suoi epigoni è un ossimoro, è una contraddizione in termini. E’ un’ipocrisia politica ed è un fallimento annunciato.
Se vogliamo fare i conti con l’onda nera di stampo neofascista che affiora all’orizzonte, allora dobbiamo prima logicamente fare i conti con le politiche economiche dei liberali, che hanno alimentato quell’onda funesta.
Questo è un punto importante, perché la tentazione di accodarsi ancora una volta ai liberali incapaci di qualsiasi revisione critica, è una tentazione forte e diffusa. Ed è sbagliata.
***
Ma c’è anche un’altra tentazione di accodarsi, persino più perniciosa.
E’ la tentazione, che si diffonde anche tra le file della cosiddetta sinistra radicale, di scimmiottare maldestramente le destre sovraniste e reazionarie nei loro più neri propositi.
Io sono al tempo stesso politicamente inorridito e scientificamente affascinato dalla mostruosa trasformazione, degna del Dottor Jekyll di Stevenson, che alcuni ex compagni hanno subito in questi anni.
Ex compagni che oggi prendono gli immigrati come capro espiatorio di ogni male economico e che prendono le distanze da fondamentali battaglie per i diritti: come quelle per l’uguaglianza di genere, per la libertà e l’emancipazione sessuale e contro ogni discriminazione, le battaglie per l’aborto, per la critica della superstizione, per una cultura laica e progressista nelle scuole.
Vorrei dirlo con chiarezza anche agli esponenti della Linke, di France Insoumise e ai nostrani più o meno disorientati: cedere di un solo millimetro, compiere un solo passo verso le agende politiche delle destre reazionarie, significa rinnegare in un colpo solo una storia più grande di loro.
Una storia che parte dall’illuminismo, che passa per le grandi rivoluzioni rosse, che attraversa il secolo con l’ecologismo, con il femminismo, con la critica della famiglia borghese. E’ la storia di chi interpreta e agisce nel mondo sulle basi scientifiche del materialismo storico e della lotta di classe. Basi che sono oggi paradossalmente note e apprezzate dai grandi magnati della finanza globale, e che invece sfuggono inesorabilmente ai sedicenti tribuni degli oppressi del nostro tempo.
Questa storia eccezionale è l’unica ragione di fondo per cui, sia pure in questo tempo così cupo, si può tuttora scommettere razionalmente su un futuro di progresso civile e di emancipazione sociale.
Gettare al macero questa storia straordinaria per portare avanti una strategia “codista”, al traino delle peggiori destre reazionarie, è l’idea politica più ottusa e perdente che mi sia toccato di commentare in tutta la mia vita. Confido che i fatti rivelino presto l’insulsaggine di questa idea.
***
Permettetemi un’ultima considerazione sulle proposte.
Elaborare un punto di vista autonomo e di classe, sia contro l’agenda stantia delle destre liberali sia contro la propaganda delle destre reazionarie in ascesa, è un’impresa colossale. E’ un’impresa che richiede un lavoro continuo sul durissimo terreno della conquista di credibilità nel campo della politica economica.
Conferire credibilità a una politica economica alternativa: l’egemonia passa anche per questo difficile compito.
Perseguire l’obiettivo della credibilità significa avere piena coscienza della portata gigantesca dei problemi dinanzi ai quali ci troviamo.
Significa quindi di evitare scorciatoie inverosimili, come quella delle piccole enclaves eque e solidali, o dell’autonomismo municipale in campo monetario, tanto per citare un esempio di cui si discute in questi giorni nella mia città.
Ma soprattutto, perseguire l’obiettivo della credibilità significa mettere ordine tra le cose. Significa ad esempio comprendere che la riduzione dell’orario di lavoro o il reddito di base, che sono citati nel titolo di questa sessione, sono obiettivi che possono essere realisticamente perseguiti in un’ottica di classe solo in un contesto di lotte per la rottura dell’attuale regime di accumulazione del capitale basato sulla centralità del mercato finanziario. Un regime che trae forza dalla indiscriminata libertà di circolazione globale dei capitali, e che attraverso di essa diffonde crisi, iniquità, sprechi e inefficienze nel mondo.
Contro la barbarie che affiora all’orizzonte, l’edificazione di un futuro alternativo, di progresso civile e di emancipazione sociale, passerà necessariamente per una critica dell’illusione di efficienza e di equità dei mercati, a partire dai mercati finanziari.
Nella fase attuale, di caos e disorganizzazione, questo gigantesco obiettivo può esser perseguito anche tramite semplici parole d’ordine, intorno alle quali cercare di riunificare un’opposizione efficace alle ipocrisie “populiste” delle destre reazionarie. Ad esempio, contro la proposta oscurantista del rigido controllo dell’immigrazione, su cui queste destre fanno proseliti, ci si può riunire intorno alla proposta alternativa, razionale e progressista, di uno “standard sociale” per il controllo dei movimenti internazionali dei capitali. Si tratta di una proposta che oggi trova riscontro persino nei ripensamenti di grandi istituzioni liberiste come il Fondo Monetario Internazionale, ma che tuttora fatica ad attecchire nelle agende delle forze sedicenti progressiste.
Ma più in generale, oltre le angustie della fase attuale, il punto di fondo è che la costruzione di un futuro di progresso e di emancipazione richiederà necessariamente una ripresa e una rielaborazione, in chiave moderna, di un discorso molto più ampio e di sistema. E’ il discorso sulla pianificazione: sulla storicizzazione dei gravi limiti e degli errori della pianificazione sovietica; sulle possibilità della pianificazione discusse persino dal Congresso degli Stati Uniti nel 1975, poco prima dell’avvento della disastrosa Reaganomics; e sul potenziale di sviluppo dei diritti di libertà nel contesto di rinnovati esperimenti di pianificazione democratica e socialista. Perché è anche ora di superare l’ingenua concezione hayekiana del capitalismo come garanzia in sé di libertà.
Potranno volerci molti anni e molto duro lavoro per rendere egemonici la critica dell’efficienza del mercato e il discorso sulla modernità della pianificazione. Ma è l’unica seria via praticabile. Il mio auspicio è che si cominci a lavorare collettivamente su di essa, anziché agitarsi ad ogni appuntamento elettorale dietro l’angolo.
Questa dunque è la mia unica speranza. Che le nuove generazioni lavorino su una rinnovata dialettica tra lotte per il progresso e l’emancipazione civile e sociale e teoria della politica economica, e che invece si tengano alla larga da qualsiasi tentazione di assecondare le patetiche strategie “codiste” di questo tempo: delle combriccole che si affannano a ricavarsi un piccolo ruolo servente tra i portatori d’acqua della destra liberale in declino o della destra reazionaria in ascesa. O della loro funesta sintesi prossima ventura.
 
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Timeo Danaos et dona ferentes

La stazione di San Giacomo non è un regalo ai suoi abitanti e se lo fosse sarebbe avvelenato! La cartina di tornasole è la mancanza di una stazione ad Oltrisarco che era parte integrante del progetto di terzo binario e metropolitana di superficie. La fermata nel popoloso quartiere bolzanino sembra essersi volatilizzata ed il motivo è lampante: il progetto è funzionale unicamente all’aeroporto e serve unicamente i turisti in arrivo e partenza dallo scalo. Per questo non è accettabile tutto questo gioire da parte di politici ed amministratori laivesotti che se ne fanno un vanto e fingono di non vedere l’evidenza. Certo una stazione a San Giacomo è buona cosa e non va rifiutata a priori, ma per favore non si finga di non sapere quali siano le ragioni che hanno portato alla decisione di dare attuazione pratica a quella che è una vecchia proposta, ben più ampia, e che giaceva nei cassetti da qualche decennio. L’ammonimento di Laoconte ai troiani dovrebbe servire anche ai nostri amministratori per comprendere che il cavallo, questa volta di ferro, serve gli interessi di chi ha rilevato l’aeroporto. 

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Bianchi acchiappatutto

Il risultato di queste elezioni è incontrovertibile e vede un unico vincitore: Christian Bianchi. Il sindaco uscente, che è stato riconfermato in modo quasi plebiscitario, se da una parte è stato il volano di tutta la coalizione nello stesso tempo ha fagocitato anche molti dei consensi dei suoi alleati che in generale vedono un arretramento rispetto agli esiti di cinque anni fa con l’eccezione forse di FdI (649 voti – 8%) di cui però il sindaco è emanazione non dichiarata. La Lega (1243 voti – 15,4% prende lo 0,9% in più di cinque anni fa (1067 – 14,5%) ma crolla rispetto a politiche ed europee dove aveva raggiunto il 36.9% con 3224 voti. Più che dimezzati i voti dell’avvocato Pusateri (93 contro 333 – 1,2% contro 4,5%). Perdono voti anche 5Stelle e la lista Castelli(441 voti contro 651 e 8,9%). Il pentastellato porta a casa un dignitoso 3,6% lasciando le briciole all’ex-sodale. Tutti i voti persi in questa alleanza sono ragionevolmente andati alla lista del sindaco il quale da parte sua porta 611 preferenze personali.

Nell’altro campo assistiamo al tracollo del PD (649 voti – 8% contro1590 – 21,7%), risultato negativo dello sfidante Bertolini, a cui fa da contraltare il consenso dato ai verdi che da 332 passano a 405 voti, 5% contro 4,5%. Brutto risultato anche per Fides con 121 voti contro 259 che però elegge un consigliere con i resti mentre non ce la fanno i socialisti. Anche TK e Progetto Laives restano fuori dal consiglio comunale. Tracollo SVP che in due legislature perde due consiglieri e passa da 1530 voti – 20,8% del 2015 a 1325 – 16,4%.

Questi i crudi dati tenendo conto che la partecipazione al voto è stata decisamente più alta (8361 contro 7764 schede scrutinate)

Va da sé che occorrerebbe un’analisi dei flussi elettorali per capire dove siano andati a finire i voti dei 597 cittadini che la polarizzazione dello scontro ha indotto a recarsi alle urne e quanto sia stato consistente il travaso da uno schieramento all’altro. Al di fuori degli schieramenti, la polarizzazione a cui abbiamo assistito e che ha contribuito all’incremento della partecipazione, ha decretato l’impossibilità di successo al di fuori delle alleanze. Eccezione è il M5s che però ha un forte riferimento nazionale.

Vincono, in definitiva, i personalismi con liste legate a singoli esponenti siano essi locali o nazionali. Nel primo caso trionfa Bianchi che si trascina dietro l’ex-pentastellato dei due mandati e poi tutti a casa e l’inossidabile animatore degli Indipendenti per Laives. Nel secondo si votano Salvini e Meloni senza che l’elettore medio sappia chi manderà ad amministrare la cosa pubblica. Il più votato della Lega prende 164 preferenze, di FdI  41 e della lista Bianchi 503 che però doppia abbondantemente il secondo piazzato.

Discorso a parte merita il risultato della SVP che nonostante abbia portato a casa praticamente tutti i suoi obiettivi non è stata premiata dal suo elettorato. Le cause sono da una parte l’ingombrante presenza sui social del sindaco Bianchi, a cui solo nell’ultimo periodo ha cercato di reagire stizzita e una scelta dei candidati che è risultata invisa ad una parte del suo elettorato. Molte delle 611 preferenze personali del neoeletto sindaco provengono da lì oltre che dai transfughi del centrosinistra.

Alcune considerazioni a latere.

  1. Non è sufficiente proporre toni ed atteggiamenti corretti (che possono addirittura infastidire) se non riesci a veicolare per tempo e con incisività proposte forti, concrete ed alternative. Inoltre non puoi farti frenare dalla preoccupazione di non irritare la SVP, ma anzi sarebbe necessaria sottoporre a critica insieme all’ex-alleato anche l’operato delle precedenti amministrazioni. Da non sottovalutare poi alcuni errori grossolani di comunicazione (Pineta) e evidenti posizioni discordanti su alcuni temi, aeroporto in primis.
  2. Risulta evidente che se non sei presente nella realtà, non puoi pretendere di essere votato a meno che tu non abbia un legame con realtà nazionali
  3. Continua pervicacemente il fenomeno della polarizzazione e del voto utile. Se sei all’interno di una coalizione vieni premiato anche se non hai inciso e prendi percentuali poco al di sopra di un prefisso telefonico. Viceversa vieni penalizzato.
  4. La crisi, l’insicurezza per il domani, ha come riflesso la ricerca dell’uomo forte, di chi garantisce o meglio promette soluzioni rassicuranti e facili e che contemporaneamente sposta l’attenzione su un facile bersaglio senza indicare la vera causa che è, senza tanti giri di parole, il capitalismo.
  5. Non esiste poi una sinistra che individui esplicitamente nel proprio agire politico la difesa dei lavoratori e dei loro interessi. In sua mancanza i ceti popolari votano i populisti, la destra.
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Aeroporto: Gostner chiede i danni, ma sbaglia indirizzo?

È notizia di questi giorni che ABD Airport Bolzano, la società guidata dall’imprenditore bolzanino J. Gostner proprietaria delle quote  dell’aeroporto di San Giacomo, intende proporre ricorso ritenendosi danneggiata dalla diffida a procedere nei lavori di ampliamento del sedime aeroportuale e annuncia battaglia e una richiesta danni al comune di Laives e in solido anche al sindaco e al suo vice. In realtà il TAR aveva dato ragione all’amministrazione laivesotta in quanto la modifica d’imperio del proprio PUC da parte provinciale non aveva seguito l’iter regolamentare e aveva dunque deciso, come in suo potere, di imporre un vincolo a sud dello scalo inserendo un biotopo a secco che pur non ostacolando il prosieguo dei voli impedisse un potenziamento degli stessi così come richiesto dalla popolazione nel referendum del 2016. Nel frattempo è intervenuta la delibera dell’ANAC che sottolinea come alla cessione delle quote in mano alla provincia non corrisponda la gestione dello scalo senza prima passare per una procedura di gara.

È dunque la provincia eventualmente che ha proceduto incautamente alla cessione delle sue quote senza prima aver risolto il contenzioso con Laives e vendendo, con procedura quantomeno dubbia, ciò che non era nella sua disponibilità. È per questo che  appare alquanto strano che si individui nell’amministrazione laivesotta l’ostacolo al dispiegamento dell’iniziativa privata quando sono attribuibili ad altri eventuali responsabilità.

Inoltre, a ben vedere, la battaglia, che ci vede spettatori interessati, va oltre lo scontro tra il comune e la cordata di imprenditori a cui è stata ceduta ABD e si colloca su un piano più generale.

Infatti ciò che sembra essere messo in discussione è il diritto del pubblico di  programmare lo sviluppo armonico del proprio territorio di fronte alle richieste dei privati. Il valore dei PUC va riaffermato e semmai dovrebbe portare ad una autocritica su certi strumenti rivendicati un po’ troppo superficialmente  e che fungono da grimaldelli contro la gestione del territorio da parte delle amministrazioni pubbliche.

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Buone notizie

In questi giorni di calura estiva è piombata una notizia che a ben guardare potrebbe avere lo stesso impatto che ebbero i risultati del referendum del giugno 2016 sull’aeroporto bolzanino. Si tratta della delibera n°494 del 10.6.2020 dell’ANAC, Autorità Nazionale Anticorruzione, a cui avevano presentato ricorso numerose associazioni ambientaliste, che rimette in discussione modalità e contenuti della cessione di ABD ai privati. In pratica viene confermato quanto da sempre sostenuto anche dal comitato No Airport di Laives e che cioè la provincia mai avrebbe perso il controllo dell’aeroporto, solo che lo avesse voluto. Nella realtà ,contraddicendo la volontà popolare e le stesse proprie dichiarazioni, la provincia ha scelto di svendere l’aeroporto ad un gruppo di imprenditori privati e di disattendere ai compiti di indirizzo e di sorveglianza che la legge le affida.
La strada scelta dagli ambientalisti, a cui va il ringraziamento di tutti noi, è risultata quella giusta e apre a scenari che sembravano ormai accantonati
L’importanza di questo atto e delle sue conseguenze andrà valutato a mente fredda, ma per noi del comitato è la conferma delle nostre analisi e di ciò che abbiamo sempre affermato.

Committee No Airport Laives/Leifers

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Mala tempora currunt

Difficile nascondere a lungo il proprio retroterra culturale e ideologico perchè vi saranno sempre dei momenti in cui emergeranno, come una cartina di tornasole, segni inequivocabili del proprio modo di pensare e di considerare il mondo.  A nulla vale, ad esempio, appellarsi alla democrazia e perfino alla costituzione se poi se ne dà un’ interpretazione plebiscitaria o si dimentica di proposito l’aggettivo antifascista. Spesso, infatti, ci si tradisce di più con gli omissis, con i non detto, ammiccando, alludendo e lasciando che ciascuno interpreti secondo il proprio sentire. Poi, a seconda delle reazioni, si potrà sempre precisare, smentire ed eventualmente accusare di bassa speculazione, di propaganda elettorale, di insensibilità e via dicendo, il malcapitato che ha osato contraddire o semplicemente esporre una propria opinione..

Che dire poi del malcostume di inserire nei regolamenti delle limitazioni solo per colpire una minoranza!   Si introduce così il limite di due ore nella fruizione del Wi-Fi libero, non per offrire un servizio migliore, ma per limitare l’accesso a immigrati e richiedenti asilo. Lo si fa strizzando l’occhio ad un elettorato subito propenso ad applaudire e per evitare che qualcuno fraintenda, poco dopo lo si esplicita sui social.

Di recente poi, parlando di scuola e della mancata adesione all’appello dell’assessore Vettorato per il servizio di emergenza o di accompagnamento, si attaccano insegnanti e sindacati considerati gli uni dei nullafacenti e gli altri, da sempre invisi, per averli difesi. Nessun dubbio naturalmente sulle capacità organizzative e sull’appeal dell’assessore.

C’è poi la sindrome del balcone che in mancanza di una piazza Venezia ed in tempi di tecnologia avanzata, viene sostituita dai social. Certo non ci si erge, mento prominente e braccia sui fianchi, ma con la stessa violenza ci si rivolge ai cittadini chiedendo sui più disparati argomenti, alla folla virtualmente osannante: “Voi, cari concittadini, cosa ne pensate?”

La gogna, il pubblico ludibrio è assicurato, ma si finge di voler ascoltare il parere del volgo. Più democratici di così si può?

Insegnanti fancazzisti o politici inadeguati?

Al di là delle polemiche contingenti occorrerebbe fermarsi e sottoporre a critica le politiche complessive e le scelte effettuate negli ultimi decenni in materia di welfare, di sostegno alle famiglie, di organizzazione della società. Decenni di tagli, di svendita ai privati, di distruzione di tutto ciò che è pubblico hanno prodotto il disastro a cui stiamo assistendo. Con la pandemia i nodi sono venuti al pettine, ma invece di ripensare quelle politiche sì ricorre a provvedimenti emergenziali senza affrontare il problema strutturale. Spesso alle difficoltà delle famiglie in cui entrambi i coniugi lavorano, talvolta non per libera scelta, si è supplito con la rete familiare affidando ai nonni il servizio di custodia dei minori. Ora che questa categoria della popolazione andava preservata ci si è improvvisamente accorti della necessità di avere servizi sociali efficienti e diffusi sul territorio. Invece di aprire conflitti tra categorie contrapponendo giovani ed anziani, lavoratori pubblici e privati, docenti e genitori si farebbero meglio ad esplicitare come si intenda risolvere in maniera definitiva la questione, sempre che si sia in grado e vi sia la volontà.

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Parole sante!

Diffido sempre di chi fa troppe conferenze stampa, di chi ha troppo bisogno di raccontare quello che fa e di esagerare il racconto in proprio favore. (Cit. N. Balasso)

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Bufale, complottisti e divulgatori compulsivi

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Nervosismo preelettorale

L’approssimarsi delle elezioni, anche se differite probabilmente al prossimo autunno, sta acuendo il nervosismo all’interno dell’attuale maggioranza. Per la seconda volta in poco tempo, infatti, il vicesindaco G. Seppi, supportato dall’Obmann di San Giacomo Robert Tezzele, si è visto costretto ad intervenire sui social per precisare puntigliosamente il proprio punto di vista sulla vicenda che ha visto lo spostamento di un certo numero di pazienti dalla casa di riposo all’hotel Steiner (Qui l’articolo e i commenti). La notizia del provvedimento, preso per motivi sanitari, è stata data dal sindaco che però, anche in un suo intervento sui social, non cita il ruolo svolto dagli esponenti SVP accreditando tra le righe che il merito sia da attribuire alla sua personale iniziativa. Infatti immediatamente sono partiti i peana dei suoi sostenitori e i “bravo sindaco” si sono sprecati a conferma dell’interpretazione degli esponenti del partito di raccolta di lingua tedesca. Apriti cielo! Il vicesindaco, che già in precedenza aveva dovuto precisare come senza l’infaticabile lavoro suo e di Robert Tezzele ben poco si sarebbe mosso in quel di Laives, ha preso metaforicamente carta e penna e senza peli sulla lingua ha ricordato che aveva dovuto “discutere per tre giorni in Comune per far capire l’importanza di questo trasferimento”. La puntuale ricostruzione della vicenda, confermata dal collega di partito, è nel tono quanto di più secco e meno diplomatico ci si potesse aspettare e rivela come il presenzialismo del sindaco sui social sia mal sopportato all’interno di quel partito. Evidentemente alla SVP cittadina non basta aver portato a casa i punti programmatici che più le stavano a cuore, ma pretende anche che si sappia.

2.4.2020

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